Crescere un figlio “raro”: l'esperienza di una mamma

 

Pubblicato su AIMAR News n.2, Maggio 2015 – Anno XXI

Il 22 Novembre scorso sono stata invitata dalla dottoressa Iacobelli a parlare durante un incontro sulle Malformazioni Ano-Rettali (MAR) organizzato dalla Chirurgia Neonatale dell’Opspedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma e dall’Associazione Italiana Malformazioni Ano-Rettali. Sono la mamma di una bambina nata nel 2009 con varie patologie malformative riconducibili all’associazione VACTER, tra cui, appunto, una MAR.

Pensando a cosa fosse utile raccontare per stimolare la conversazione tra medici e famiglie, ho ripercorso la nostra storia degli ultimi cinque anni e ho cercato di far emergere le lezioni più importanti che abbiamo imparato fin qui, affinché aiutassero a mettere in luce gli aspetti più difficili da cogliere per che non vive la nostra quotidianità.

Tutto un altro film: la prima grande difficoltà che ci siamo trovati ad affrontare è stata di dover riconsiderare “il film” che ci eravamo fatti della gravidanza e dell’arrivo del nostro primo figlio. Già dai primi mesi, alle parole e immagini dolci che accompagnano l’attesa: pappe, pannolini, vestitini… si sono sostituite mille paure, dubbi, ricerche, domande, per chiarire le difficoltà che cominciavano ad emergere. All’immagine rosa e azzurra che ci eravamo dipinti, se ne è sostituita una molto più triste, angosciante, fitta di parole fino a pochi giorni prima del tutto sconosciute e in quel momento cariche di significati oscuri.bimbo rosa

Bambini “work in progress”. Di fronte a tante domande e diagnosi poco rassicuranti abbiamo, con tanto dolore, imparato la prima lezione: in casi come i nostri, di patologie malformative complesse, non ci si può aspettare di avere da subito, in gravidanza o alla nascita, una diagnosi definitiva e completa. Sembra un’assurdità in un’epoca in cui dalla scienza, dalla medicina in particolare, ci si aspettano, direi quasi si pretendono, risposte univoche e infallibili.

 

bimbo marrone

E invece abbiamo scoperto che in molti dei nostri casi la diagnosi, ma più in generale il quadro complessivo delle condizioni di salute dei nostri figli, è un “work in progress” e un “puzzle”.

Per avere un quadro più chiaro di come si svolgerà “il film della crescita” e di come “andrà a finire”, bisogna mettere insieme molte valutazioni e aspettare del tempo.

Un esempio, che oggi nella nostra famiglia è diventato quasi una barzelletta, è quello del “rene fantasma”. In gravidanza si vedevano due reni, o meglio non si notava nessuna assenza, ma uno era malformato. Nell’ospedale dove è nata la bambina il rene era uno solo, in quello dove è stata operata, prima ce ne era uno solo, poi, forse, ce ne era un secondo, ma tanto piccolo da essere quasi invisibile, forse riassorbito (un organo si può riassorbire? Pare di sì).

Al primo controllo del pediatra, uno “di fama”, eccolo che rispunta!

Andando avanti nel tempo, dalle ecografie di controllo di questo rene non si sa più niente, evaporato, o forse solo timido. Ci mettiamo l’anima in pace, e ci teniamo il monorene, ché abbiamo tante altre cose a cui pensare. Qualche anno dopo, andando a investigare l’addome e la pelvi con risonanza magnetica e altre ecografie molto approfondite per capire altre problematiche…tac! rispunta fuori il “renuncolo”…“Ma dottore non lo chiami così, poverino, è l’unico rene che abbiamo!” dico io, “No signora, guardi che questo è quello di destra”, “Come di destra, dottore? A destra non c’è il rene”… “Mamma hai visto che hai sbagliato, io lo sapevo che c’era anche il rene piccolo!”.

Tre mesi dopo, altra ecografia per altri problemi, altro ecografista…”signora il monorene è a posto”, “no guardi non è mono, ce n’è un altro, anche se piccolino”, “mah, io proprio non lo vedo, forse è coperto”…referto: rene destro non in sede.

Questo limite della medicina nel diagnosticare e categorizzare, ci si è svelato definitivamente, quando uno dei nostri chirurghi, certamente non il più incline a mettere in dubbio le sue diagnosi, con un inatteso guizzo di umiltà, dopo aver smentito la diagnosi di assenza dell’utero che aveva fatto un anno prima, ci confessò che alcune volte non si riesce a dare un quadro anatomico preciso neanche dopo aver “aperto la pancia”, perché gli organi si presentano in forme talmente diverse e anomale che è difficile farli rientrare nelle categorie conosciute.  In quel momento mi è tornato in mente qualcosa che avevo studiato anni fa, cioè che la nostra mente non vede quello che non capisce o che non si aspetta di vedere. La famosa storia dei nativi americani che non avrebbero proprio visto le caravelle di Colombo all’orizzonte perché non rientravano nel perimetro di ciò che conoscevano e ritenevano possibile.

Ma senza scomodare la psicologia cognitiva, abbiamo imparato a forza di angosce, proiezioni catastrofiche e smentite, che la formazione degli organi, dal feto al bambino, e la definizione della loro funzionalità, è un continuum, non un punto preciso, definito una volta per tutte.

Voglio precisare che i medici che ci hanno fornito queste diagnosi, e continuano a seguirci, fanno parte di un centro di eccellenza, nazionale e internazionale. Le loro diagnosi le abbiamo vagliate, incrociate, confrontate con altri esperti in Italia e in giro per il mondo. Il percorso a dir poco tortuoso di queste diagnosi non è risultato anomalo ad altri esperti con cui ci siamo confrontati, fa parte della storia di questi bambini.

Abbiamo faticosamente accettato che la condizione fisica di nostra figlia, alla nascita e anche nei primi anni, potesse essere descritta solo fino ad un certo punto, e che dovremo convivere con un margine di incertezza, abbastanza ampio, su come crescerà e che qualità della vita avrà. Ogni specialista potrà contribuire a mettere insieme una tessera del puzzle, a fare delle ipotesi su come si comporrà l’immagine finale, ma nessuno sarà in grado di darci una certezza definitiva.

E’ una lezione difficile, ma fondamentale.

Ci mette di fronte al fatto che la scienza, e i medici che per noi la interpretano, non ha tutte le risposte e non può toglierci tutte le paure.

Noi abbiamo imparato che la storia del corpo di nostra figlia e la qualità della sua e della nostra vita, per fortuna, non è stata scritta una volta per tutte. Si evolve, cresce e cambia con lei e con noi. E con i progressi della medicina, delle terapie, dei presìdi, delle persone che riusciamo a coinvolgere nella nostra rete.

Fino a pochi anni fa per questi bambini il film era molto più chiaro, e purtroppo, breve. I progressi della medicina hanno dato anche a loro la possibilità di scrivere una storia di vita, ma fanno molta fatica a dirci che vita sarà.

Questo percorso lo stiamo sperimentando, con tante difficoltà, anche con la MAR.  Alla domanda semplice semplice (almeno per chi si accosta a questo problema da neofita), “sarà continente?”, abbiamo ricevuto molte risposte diverse e, a volte, contraddittorie nel corso degli anni. Man mano che la bambina cresceva e si riusciva a capire meglio quale problema dipendesse dall’immaturità e quale dall’anatomia incompleta o anomala, il quadro è andato mutando e ancora non ha trovato una definizione finale.

E qui abbiamo capito la terza lezione: per noi genitori fissarsi, arrabbiarsi, incaponirsi, perfino avviare azioni legali, per una diagnosi che, ad un certo stadio della malattia o a una certa età, si rivela errata o incompleta, non per imperizia e incapacità, ma perché il quadro è in fieri e non tutte le tessere riescono ad essere messe insieme nello stesso momento, è una perdita di tempo ed energie.

Ci fa distogliere l’attenzione da ciò che veramente serve ai bambini: mettere insieme tutti gli elementi possibili, ragionare con tutti gli esperti e con tutti quelli che li osservano, pretendendo che si confrontino tra di loro e diano delle risposte coerenti e integrate, non tagliando i bambini “a fette”, una per specialità.

Questo è un lavoro molto complesso, che purtroppo nella maggioranza dei nostri casi devono fare i genitori. Nei sistemi che funzionano, lo dovrebbe fare il “case manager”, che poi dovrebbe interfacciarsi, o aiutarci a interfacciarci, con la società: scuola, asl, inps…

puzzle

 

E qui veniamo all’ultima lezione che abbiamo voluto condividere con i medici e le famiglie: i genitori devono fare, prima di tutto, i genitori. Sembra banale, ma è la lezione più difficile da capire e mettere in pratica.

La psicologa che ci ha seguito fin dalla gravidanza, ha dovuto ricordarci più volte che di medici, infermieri, psicologi, terapisti, nostra figlia, adesso e in futuro, ne potrà -e avrà diritto ad avere- tanti, mentre di mamma e papà ne ha, e ne avrà, sempre e solo due.

Se questi due, per supplire alle carenza del sistema, perché non si fidano di delegare a nessuno, o per qualsiasi altro motivo, si mettono a fare l’infermiere, il terapista, il para-medico, lo psicologo, l’assistente sociale, e tralasciano di “imparare” a fare questo mestiere speciale, nessuno potrà sostituirli e dare a quel bambino l’amore unico e irripetibile che solo loro possono trasmettergli.

Una lezione che noi stiamo ancora cercando di mettere in pratica. Per una “control-freak” come me, che di fronte alle difficoltà si mette la tutina da wonder-woman, niente doveva essere impossibile.

E quindi, via a infilare sondini in una minuscola narice, dilatare un microscopico ano con un attrezzo improbabile e introvabile, fare iniezioni su una coscetta in cui il grasso sottocutaneo è introvabile, pesare i microgrammi di medicinale in una bilancia da cucina dopo aver risolto l’equazione per trovare il dosaggio giusto da neonato…e la mamma? E le coccole? E se la mamma diventa quella che “fa male”, da chi mai ci si potrà rifugiare per cercare conforto?

multitasking

Purtroppo il lusso di fare solo la mamma e il papà noi genitori di bambini speciali non ce lo possiamo permettere, ma non dobbiamo dimenticarci, ogni volta che si può, di pretenderlo e di ricordare a noi stessi, ai medici, alle maestre, ai nonni, che veramente non si tratta di un lusso.

 

Che già far decentemente il papà e la mamma di questi “work in progress”, che ci riservano incognite e sorprese a non finire, è un impegno da supermen.

Per questo, in conclusione, a tutti i medici, gli infermieri, gli operatori socio-assistenziali, che si vogliono mettere in ascolto e dialogare con noi, chiediamo di fare questa strada, a tratti inedita anche per loro, davvero insieme, permettendoci di fare il più possibile “solo i genitori” e garantire ai nostri bambini la migliore qualità della vita possibile.

Cristina



5 Comments on “Crescere un figlio “raro”: l'esperienza di una mamma

  1. Cara Cristina siamo anche noi genitori di un bimbo nato con associazione di vactrel. Condividiamo appieno i vostri sentimenti e le vostre paure. Ogni giorno é un’ ansia dal mangiare alla cacca.Eppure il discorso dei medici che fanno diagnosi contrastanti é identico al vostro. La vita di noi genitori di bimbi speciali é dura e ricca di insidie ma dobbiamo prendere esempio da loro. Diego ha una gran voglia di vivere e una gran tenacia e ci sta dando grosse soddisfazioni. Un grosso abbraccio e un grande in bocca al lupo a tutti i nostri bimbi speciali

  2. Ringrazio Cristina perché é riuscita a “mettere su carta” mille sensazioni, emozioni, comportamenti che, tuo malgrado, ti trovi ad affrontare per provare a rendere migliore la vita e il futuro della “tua vita”, tuo figlio/a.

  3. Un racconto veramente bellissimo, nonostante il contenuto tragico, una lezione di vita per tanti, che dovrebbero leggere tutti.
    tanti auguri dal profondo del cuore: che la tua FORZA rimanga intatta nel tempo!

  4. Anche a mia figlia hanno dato questa associazione adesso ha 20 mesi … condivido pienamente tutto quello che hai scritto!!!
    Non mi sarei mai immaginata che la mia prima figlia poteva nascere cn varie problematiche…. un colpo davvero!!!! Tutto lho saputo dopo che è nata …adesso viviamo la nostra normalità per quanto possa esserlo …. mio marito continua a fare ogni giorno ricerche su ricerche e certe volte nn si rende conto che distoglie l attenzione su tutto il resto …. ma nn posso fargli una colpa…. vedere i propri figli che soffrono …. è una tortura per noi genitori…. sopratutto quando ad alcune problematche nn c’è spiegazione…

    per tutti coloro che vivono questa situazione … se avete bisogno di confrontarvi di parlare di qualsiasi altra cosa …. contattateci
    Potete chiamare o massaggiare su questo numero 3665271569!!! Saremo lieti di confrontarci cn voi e di capire come potrebbe evolversi il futuro dei nostri figli!!!

    Grazie Cristina se vuoi contattami pure …. Forza e coraggio per i nostri figli.